Spesso il vissuto dei caregivers è di incomprensione e solitudine: l’esperienza che affrontano è così personale e il cambiamento così grande da destabilizzare il ruolo del familiare e anche le sue relazioni.
Da una parte, il mondo delle GCA è talmente complesso e ancora poco conosciuto che chi si ritrova in una situazione simile affronta notevoli difficoltà nel capire cosa stia succedendo… figuriamoci il riuscire a spiegarlo a qualcun altro ad un estraneo.
Spesso non si hanno parole in grado di fare comprendere questa realtà a chi non la conosce e soprattutto cosa significhi affrontare il percorso dopo una GCA.
“Solo chi lo vive può saperlo”: una frase spesso pronunciata dai caregiver, una verità in cui si nasconde anche un profondo senso di solitudine.
Perché nonostante lo si desideri, non sempre è semplice chiedere aiuto, “a chi non sa”, ed è faticoso anche delegare e fidarsi di altre persone che si prendano cura del proprio familiare fragile.
Dall’altra parte, le persone che ruotano attorno ai caregivers principali, altri parenti e amici, possono trovarsi in difficoltà, in quanto vorrebbero aiutare, ma non sanno come.
Altri, di fronte al “non puoi capire”, si allontanano..
Ma il caregiver ha bisogno di costruire una rete di supporto, per non essere completamente caricato di responsabilità.
Le famiglie che negli anni abbiamo conosciuto in Samudra Insieme, ci raccontano del bisogno di sentirsi chiedere “come stai?”: sentire l’interesse dell’altro non solo nel primo momento più impattante ma anche nel corso del lungo cammino successivo.
Spesso, infatti, l’esperienza dei caregiver è quella di sentirsi abbandonati nel momento in cui la situazione clinica si stabilizza: non è quando il proprio caro smette di essere ‘in pericolo di vita’ che la situazione si alleggerisce, anzi… spesso è proprio in quel momento che si avverte il maggior senso di smarrimento.
Quando la riabilitazione finisce, la vita dovrebbe tornare come prima ed invece tutto è inevitabilmente diverso. Quello è IL momento in cui una telefonata, una presenza, un esserci ancora… può fare la differenza.
Senza un modo preciso di stare, bensì ponendosi al loro fianco, semplicemente osservando insieme al caregiver in che modo la loro vita è cambiata e cercando insieme un modo per affrontarla.
Il bisogno di “staccare” è altresì presente: i familiari hanno bisogno di essere circondati da relazioni che permettano di condividere tempo con loro, oppure che donino tempo di sollievo ai caregivers dedicandosi al loro posto alla persona con GCA.
Un altro bisogno spesso presente, forse più rivolto alle istituzioni e ai luoghi di cura, è quello di sentirsi accompagnati e orientati in un percorso che spesso confonde, dove non c’è una sola strada giusta e dove le prospettive sono incerte.
Per questo, non solo nelle riabilitazioni ma anche nelle strutture di lungodegenza, è fondamentale creare un’alleanza con la famiglia; è necessario che i professionisti dell’assistenza ascoltino i familiari.
Se i clinici sono gli esperti di lesioni, effetti e terapie, i familiari sono gli “esperti della persona colpita da GCA”: loro sono i custodi della sua identità, di chi era prima dell’evento, di cosa è accaduto e dell’impatto che c’è stato.
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